24 Aprile 2024

Chapter 1 – Giorgio Camuffo

Giorgio Camuffo è un veneziano, un designer, un professore di comunicazione visiva presso la Facoltà di Design e Arti della Libera Università di Bolzano. E tanto altro.

Vibrante di passione e genuina naturalezza, gioca con forme e colori creando opere che vanno oltre il semplice oggetto di design per raccontare storie, emozioni, mondi possibili. È con queste qualità che ci ha accolto nella sua dimora veneziana, aprendoci le porte del suo vivace universo creativo. Ne è emersa una personalità ironica e immaginifica, capace di mescolare profondità e allegria con la stessa facilità con sui sorride alla vita. Tra schizzi e oggetti che svelano il suo genio, scopriamo un uomo che incanta e ispira.

Grafico, illustratore, professore? Chi è Giorgio Camuffo?

G.C.

Sono un grafico, un art director, un illustratore, un curatore di mostre, un insegnante, ma non mi sento nessuna di queste cose. Credo di essere soprattutto un curioso.
La grafica è il mio punto di partenza. Mi piace molto disegnare, è la cosa che faccio più volentieri e che mi viene più facilmente. Io cerco di tradurre tutto in immagini. ll disegno è la mia lingua, la uso per vedere oltre e comunque, per guidare i miei studenti in una direzione. Non posso farne a meno. Poi mi piacciono le storie della gente, un altro mezzo che mi permette di raggiungere mondi nuovi. Per comunicare è importante essere empatici con le persone. Nonostante questo, sento comunque il bisogno di passare molto tempo a casa, con la mia famiglia o da solo, con i miei disegni, per pensare ai miei progetti.
Il mio lavoro nasce da una lunga serie di esperienze sbagliate da un lato, ma giuste dall’altro, poiché ognuna mi ha permesso di avvicinarmi a ciò che sono e che faccio ora. Ho lasciato ingegneria per iscrivermi ad architettura, senza laurearmi, ma ciò mi ha permesso di avvicinarmi al design, pur senza sapere con esattezza cosa fosse. Ho fatto il fotografo ma senza particolari soddisfazioni, ho venduto souvenir in Piazza San Marco e fatto il butta dentro in un negozio di vetri. Soprattutto, ho frequentato una macelleria dove comprava la carne un bravissimo grafico. Quindi posso dire che ho cominciato a fare questo mestiere mangiando bistecche.

Cultura e bellezza sono sempre al cuore del tuo lavoro.
Credi sia questo il tuo ingrediente segreto?

G.C.

La bellezza è necessaria e, soprattutto oggi, dovrebbe essere un diritto di tutti. Ma mi piace anche la bruttezza. Credo che il design debba avere sempre un obiettivo sociale, non puramente estetico. Nasce da un processo di trasformazione di una situazione sociale, politica, economica per renderla migliore, non più bella. Anche se non esiste una definizione precisa di design, ne esistono tante. Ognuno costruisce il proprio mondo, il proprio linguaggio. Quando questo è autonomo, libero e incondizionato, originale, allora si raggiunge l’obiettivo e si dà vita al design. Io credo di fare design per capire cos’è il design, è il mio modo di accettare l’incertezza. Bisogna imparare a costruirsi le proprie certezze nell’instabilità.

Oltre a esserti occupato di molti progetti legati a Venezia, hai da poco dedicato un libro al campo in cui sei nato. Raccontaci del tuo rapporto con la città.

G.C.

Come dice Patty Pravo, “sono Veneziano” significa dire: appartengo a questa città. Sono un ponte, l’acqua, il salso che sale sui muri. Venezia ti avvolge con il proprio corpo. Sono veneziano vuol dire che vivo la città e ne faccio parte, in tutti i sensi e in tutti i modi. Venezia è la mia casa e le sono debitore, perché vivere immersi nella bellezza è un dono.

“Sono un ponte, l’acqua, il salso che sale sui muri. Venezia ti avvolge con il proprio corpo. Sono veneziano vuol dire che vivo la città e ne faccio parte, in tutti i sensi e in tutti i modi.”

Quale luogo della casa ami di più?

G.C.

Il luogo della casa che preferisco è il mio studio, il posto dove custodisco le mie cose, quelle di cui sono più geloso. In realtà di studi ne ho tre, due a Venezia e uno a Bolzano. In quello di casa lavoro più liberamente, soprattutto di sera, nell’altro di Venezia scrivo, faccio ricerca, mi nascondo dal mondo. In quello di Bolzano invece incontro i miei studenti. Tutti e tre si somigliano e sono pieni di penne, di matite, di libri, di oggetti e disegni di materiali che colleziono o che mi regalano gli amici. In tutti e tre regna il disordine, ma io nel mio disordine riesco sempre a trovare quel che cerco. Italo Calvino aveva tre scrivanie, una per scrivere libri, una per i saggi, una per gli articoli di giornale. Un po’ come lui, anche io nei miei tre studi esploro differenti territori. Amo molto anche la cucina, mi piace cucinare e mi rilassa. Vorrei farlo di più, il cibo è vita

Ogni cosa che fai emana un senso di felicità e di leggerezza.
Cosa sono il piacere e la gioia per te?

G.C.

Non so esattamente cosa sia la gioia, in un lavoro come il mio c’è sempre uno spazio di latente insoddisfazione. Per me la gioia è sentirmi dire dai miei studenti che sono un bravo professore. È stare bene, godere della salute, ascoltare una bella storia o leggere un buon libro. Quando faccio un bel lavoro, quando disegno qualcosa che mi piace, allora sono felice. Come quando bacio le guance delle mie nipotine.